«Non ha alcun senso portare avanti questa finta democrazia, in cui si dice alla gente: ‘protestate pure, ma poi andiamo avanti per la nostra strada, noi facciamo quello che vogliamo’. Il motivo di questa protesta, che dura da 21 anni, è che si vuole essere ascoltati, così come per qualsiasi altra protesta ci sia in uno Stato di diritto.»
Povero Mercalli e poveri tutti quelli che protestano contro la Tav in Val di Susa chiedendo più Stato e più Democrazia!
Non vi accorgete che la vostra situazione è esattamente figlia del processo democratico? Una testa, un voto e la maggioranza decide. Beh, ci spiace per voi, ma la maggioranza ha deciso, la Tav si fa e il vostro parere non conta nulla. Non è forse la maggioranza degli Italiani o dei rappresentanti che sono stati democraticamente eletti, anche quelli piemontesi, totalmente d’accordo nel voler portare avanti il progetto Alta velocità? La Bresso, Cota, Chiamparino, Fassino e i governi che si sono avvicendati in questi anni non sono forse tutti a favore del progetto?
E allora di cosa vogliamo parlare? Questa è la democrazia e ha decretato che la Tav si fa, così come l’assemblea ateniese, di fronte alla ribellione dell’ex alleata Mitilene, decise democraticamente «l’eliminazione totale degli abitanti di Mitilene in età adulta e la schiavitù per i piccoli e le donne.»
That’s democracy, stupid!
Il movimento Notav ha poi un altro cavallo di battaglia, ovvero la richiesta che si valuti l’utilità dell’opera sulla base dei numeri, si faccia insomma un’analisi costi-benefici prima di spendere decine di miliardi di denaro pubblico. Scrive Mercalli,
«L’opera serve o non serve?’Noi abbiamo dati che dicono che non serve, che è soltanto una devastazione territoriale, una perdita ingentissima di denaro pubblico.»
I numeri li trovate qui e supportano esattamente la versione di Mercalli. Il punto è che la logica statale non è l’odiata logica del profitto, per cui quei numeri potrebbero avere senso e l’opera non sarebbe da fare, ma è la logica del consenso e del potere.
È inutile chiedere ai politici romani (o piemontesi) di valutare ancora una volta i numeri, soppesare costi e benefici per la popolazione, e decidere se intraprendere l’opera o meno. Lo si è già fatto, solo che l’analisi politica considera altri numeri, non quelli usati dai Valsusini.
La logica del consenso e del potere se ne frega del ritorno economico per la collettività, ragiona invece in termini di tangenti, di voti, di favori da ricevere o restituire. Più soldi si spendono più potere si ottiene mentre i costi verranno pagati dalla collettività.
La risposta di un politico alla sua analisi costi-benefici della Tav, non può che essere la stessa dei referendari lo scorso giugno, quattro sì!
Allora forse sono proprio il linguaggio e la modalità della protesta ad essere sbagliati. Questa non è una “finta democrazia” a cui contrapporre una “vera democrazia” che si presume tuteli i diritti dei Valsusini sulle loro terre. Questa è la vera democrazia.
Allo stesso modo non saranno certo delle manifestazioni di piazza a Torino a far cambiare idea alla classe politica, specialmente se poi quest’ultima ha facile gioco a far passare la protesta come violenta o contaminata da infiltrazioni violente.
Le parole che i Valsusini dovrebbero utilizzare sono altre: autonomia e proprietà. Le terre della Val di Susa sono di proprietà dei Valsusini e quindi tocca a loro decidere autonomamente cosa farne. Non volete starli a sentire? Volete continuare a decidere a maggioranza senza ascoltare le loro ragioni? Buttando via denaro pubblico proprio mentre si chiedono sacrifici?
«Bene, se volete buttare via dei soldi, fatelo con i vostri. Finché non ci date ascolto, niente tasse a Roma». È il principio alla base della rivoluzione americana: no taxation without representation. Questo dovrebbe essere il cavallo di battaglia del movimento: la protesta fiscale, non i cortei le occupazioni di strade ed autostrade che in pratica non servono a nulla se non a rimediare qualche manganellata.
Iniziate dall’IMU, quella è l’unica lingua che capiscono a Roma.
Bastiat Contrario
— Marco Bollettino
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